Podcast. Quando il jazz ti dona il funky. Herby Hancock

   Tempo di lettura: 4 minuti

Quando ho scritto di Shorter un paio di settimane fa mi ero ripromessa di parlare di un altro dei componenti del mitico gruppo di Miles Davis: Herby Hancock, appunto.
E quando si dice che il talento bisogna averlo dalla nascita si dice una cosa vera. Hancock inizia a studiare pianoforte all’età di 7 anni, e subito si dimostra un bambino prodigio. Si vede: nel 1961 Donald Byrd lo invita ad unirsi al suo gruppo a New York, dopodiché è sotto contratto con l’etichetta Blue Note che gli offre un contratto. Ha poco più di vent’anni.

Il suo primo album è Takin’ Off, del 1962, che diventa un successo commerciale. Nel 1963, dunque, Miles Davis lo l’album Seven Steps to Heaven. Hancock entra così a far parte dello storico quintetto di Davis, dove incontrerà anche Wayne Shorter, Tony Williams e Ron Carter. Durante la permanenza nel quintetto, Hancock continua a lavorare per l’etichetta Blue Note, realizzando capolavori come Maiden Voyage, Cantaloupe Island, e Speak Like A Child. Nel frattempo realizza la musica per il film Blow-Up di Michelangelo Antonioni.

Nel 1968, lasciato il gruppo di Davis, registra l’album Fat Albert Rotunda, il suo primo disco squisitamente funky. Nel 1969 forma un gruppo con cui realizza diversi dischi come The Prisoner. In questo periodo incomincia a interessarsi di strumenti elettronici. Gli album per la Warner Bros segnano il definitivo passaggio nella sfera del funky. Seguono Crossing e Sextant per poi passare alla fase funk vera e propria. L’album più significativo è Headhunters nel quale è presente il famoso singolo Chameleon: una favola vi assicuro, tanto da far saltare sui tavoli di casa il mio duo di coppia… Basta poco del resto, nei Settanta aveva vent’anni e non si ascoltava altro.

Per dire: una volta mi ha portata ad un concerto di Barry White: io ero la più giovane dei diecimila presenti: era il ’91 lui ne aveva trenta io… ventitre.

Tornando a noi: questo periodo continuerà fino agli anni ottanta, data nella quale il continuo zigzagare di Hancock da un genere all’altro lo porterà a seguire due progetti contemporaneamente: uno vicino alla disco e alla musica elettronica (dal quale usciranno album come Future Shock, che contiene il celebre singolo da classifica Rockit, e Perfect Machine) e uno hard-boppistico: la reunion venne formata con gli stessi membri dei primi dischi di Hancock: Tony Williams, Ron Carter e Freddie Hubbard.

Gli anni novanta segnarono un nuovo e fertile periodo per il pianista di Chicago: i progetti The New Standards, Gershwin World, Future 2 Future e Directions in Music sono gli album di riferimento di Hancock.
Un paio di anni fa ha vinto il Grammi per The Joni Letters, dedicato all’amica cantautrice Joni Mitchell.
Che altro: mi sembra giusto farvi ascoltare Chamaleon. Niente audio questo giro ma il video da You Tube. Mettetevi comodi; dura una quindicina di minuti. Buon Ascolto.

 

 

Il Libro.

“La musica in sé non ha valore. Ciò che rende la musica valida è l’effetto positivo sulle persone che vanno ad ascoltarla. Quando ho cominciato a pensare di più alla gente ho affrontato la musica dalla prospettiva delle loro vite piuttosto che della musica in sé”.
La storia di un bambino prodigio che ama Mozart, scopre il jazz e diviene uno dei musicisti più influenti e di successo della musica contemporanea. I molti volti di Herbie Hancock, dalla storica stagione con Miles Davis alla ricerca spirituale di Mwandishi, fino al ritorno alla terra del funky. Il maestro delle tastiere raccontato attraverso la sua vita, le sue parole e l’analisi dei suoi capolavori. Il Libro è di Stefano Zenni.

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